Verso la leadership globale nel mondo del lusso
Pur essendo una grande multinazionale, P&G Prestige non dà per scontato il successo. Continua a rafforzare la sua posizione nel luxury, puntando sul “white space”, spazio nuovo di conquista.
E amplia l’offerta di Dolce & Gabbana con lo skin care, rafforza la penetrazione in mercati ancora poco esplorati, avvia nuove licenze. Intervista esclusiva a Bill Brace, Vice President Global Market Development Operations P&G Prestige.
Lei è Vicepresidente di P&G Prestige e responsabile dello sviluppo marketing a livello globale. Com’è cambiato il suo ruolo nel corso degli ultimi due anni?
Parlerei di due grandi differenze. Una interna, mossa dal business e dalla strategia di P&G, l’altra dovuta all’ambiente esterno. La prima: il nostro business è cresciuto considerevolmente negli ultimi due anni registrando, a livello globale, +20%. Quindi l’impegno è maggiore, ma anche le gratificazioni. Ci sono più opportunità di crescita, stimolanti possibilità di espansione nei mercati di tutto il mondo che mi tengono molto impegnato, perché devo averne il controllo per mantenere lo slancio. Oltre alle performance dei core brand come Gucci, Dolce & Gabbana e Hugo Boss, è la strategia prescelta a favorire la nostra crescita: diventare realmente un’azienda di cosmesi di lusso, non solo di profumi. A tale scopo, abbiamo puntato su Dolce & Gabbana e stiamo portando SK-II, il nostro brand asiatico di skin care, in tutto il mondo.
La seconda differenza: quello italiano è il mercato che, negli ultimi due anni, ha “perdonato” meno. In altre parole, bisogna essere i migliori per battere la concorrenza, perché i consumatori sono sempre più esigenti e cauti, intenzionati a ottenere il giusto valore in cambio del loro investimento. Questo ci ha portati ad affinare il modo in cui sviluppiamo e lanciamo novità e programmi innovativi, rendendolo unico. A nostro favore, le solide radici di P&G che alimentano una visione fortemente orientata al pubblico. Il punto di partenza è sempre lo stesso: cosa vuole davvero il consumatore e di cosa ha bisogno per essere soddisfatto. Tale approccio “disciplinato” all’innovazione è, a mio parere, ancora più importante oggi di quanto lo fosse due anni fa, come testimoniano i risultati. L’anno scorso, siamo riusciti ad ottenere il 26% del valore delle innovazioni con solo il 12% delle centinaia di iniziative messe in atto. Nel contempo, però, continuiamo a focalizzare l’attenzione sui “classici” che restano il nostro core business. Profumi come quelli di Hugo Boss sono sul mercato da quindici anni e crescono sempre. Quindi, vanno valorizzati in modo adeguato.
Che cosa significa lavorare nel “white space” e perché è così importante per P&G Prestige?
Una premessa: siamo la seconda azienda di profumi di lusso al mondo. Questa è la nostra attività principale e registra i più grandi volumi di vendite. Ma sappiamo anche che, per raggiungere i nostri obiettivi e avere successo come realtà prestige a tutto tondo nella bellezza, è necessario ampliare il business ai cosmetici per la cura della pelle. Quindi, se per “white space” si intende entrare in nuove categorie merceologiche, questa è indubbiamente una nostra priorità. E lo stiamo facendo con Dolce & Gabbana e Gucci. Senza dimenticare SK-II, marchio leader in Asia, un potenziale da esplorare qui, più che in ogni altra parte del mondo. E ora arriviamo alla seconda definizione di “white space”, quella geografica. Nel caso di SK-II, per esempio, ci sono ancora ampi spazi di espansione in Asia, oltre che negli USA. In più lo stiamo progressivamente inserendo negli store degli aeroporti di tutto il mondo.
Lo stesso vale per Hugo Boss, il nostro brand di profumi più importante a livello internazionale, ma che deve ancora essere reso competitivo sul mercato statunitense. Altri “white space” per noi sono l’Arabia Saudita, il Messico e il Brasile. Forse dovrei chiamarli “grey space” perché, in realtà, siamo già presenti in quei Paesi, ma con possibilità di crescita davvero enormi. Inoltre, a renderli ancora più attraenti dal punto di vista degli investimenti, contribuisce il calo dei consumi in Europa. Infine, ultimo aspetto del “white space”: i nuovi brand. Negli ultimi mesi abbiamo annunciato nuove licenze con Stella McCartney e Alexander McQueen, ancora poco sviluppati, nonostante il loro potenziale. Il consumatore dimostra, infatti, di apprezzarli e di desiderare che vadano oltre la loro identità di marchi moda.
Quali sono i trend emergenti nel prestige e cosa cercano i consumatori quando entrano nei punti vendita del settore?
È indubbio che, negli ultimi due anni, i consumatori stanno diventando sempre più esigenti in termini di aspettative nei confronti dei brand. Sono a caccia di esperienze di lusso, uniche e diverse, se confrontate con quelle precedenti. Oltre alla componente emozionale, cercano più informazioni e consigli sulle performance del prodotto, per capire come agisce e quale sia il più adatto a loro. Questo è ciò che accade poiché osserviamo molteplici abitudini di acquisto nella stessa categoria di prodotto. Il 50% degli acquisti è anticipato da indagini sul web prima di recarsi fisicamente nei negozi, anche se i dati suggeriscono che la percentuale di acquisti online è ancora minima, pari ad appena 2-3 punti per i profumi a livello globale. Insomma, l’esperienza di acquisto è molto più complessa rispetto al recente passato, più esaustiva in termini di ricerca di informazioni da parte del consumatore.
Penso che influenzi anche il modo in cui quest’ultimo entra in un negozio. Da una parte, vuole curiosare, fare esperienza ed esplorare per conto proprio. Dall’altra, avere accesso alle competenze del consulente di bellezza o di qualcuno che se ne intenda, in grado di rispondere alle domande e guidarlo verso strade nelle quali non necessariamente saprebbe cosa chiedere o cercare. Riassumendo, penso sia in atto un cambiamento globale che spiegherei, da un lato, come il desiderio delle persone di avere più libertà, flessibilità e accessibilità nei modi, luoghi e tempi preferiti. Dall’altro, come la necessità, tuttora presente, di quelle competenze che facciano la differenza, completino ciò che possono trovare da soli e li aiutino infine nelle loro decisioni.
Com’è cambiato il ruolo dei grandi magazzini, considerando che l’ambiente del retail è diventato più competitivo?
Questa domanda si lega a quanto ho detto. Penso che i grandi magazzini siano ancora molto importanti: lo si nota in termini di business a livello globale, anche se in alcune regioni è più evidente. In Nord America e Asia, per esempio, tendono tuttora a trainare i mercati. Ad avere maggior successo, quelle superfici che si sono evolute, aprendosi alle nuove esperienze di acquisto, capaci di offrire alle persone maggiori opportunità di percepire i brand, analizzarli e provare prodotti diversi in modo autonomo. Al contrario, soffrono soprattutto i grandi magazzini legati al vecchio modello, sia in termini di ambiente sia di esperienza d’acquisto.
Quali sono i futuri trend economici a livello mondiale nel settore del lusso?
Le persone alla ricerca di esperienze di lusso, speciali, più personalizzate rappresentano già una tendenza. Lo vediamo in maniera molto evidente, quasi come un insaziabile appetito per le esclusive del mercato. A conferma va il successo di alcuni dei nostri prodotti extra-lusso, come la Velvet Collection di Dolce & Gabbana. La stessa cosa capita negli store. Magari sto sfondando una porta aperta, ma è proprio così. Si tratta di un luogo pensato e voluto per essere diverso rispetto al resto dell’offerta. Semplicemente più esclusivo, unico. Inoltre, ritengo che oggi le persone siano più esigenti anche in merito a ciò che il prodotto realmente propone, specie per quanto riguarda i cosmetici dedicati alla cura della pelle. Certo, il packaging e l’immagine continuano ad avere rilievo, ma alla fine ciò che conta sono le performance del trattamento. Se la sua fruizione non conferma le aspettative, non mantiene le promesse, né tantomeno il sogno che il consumatore insegue, il consumatore non tornerà a comprarlo di sicuro.
Secondo lei, qual è il Paese più innovativo nel mercato globale del lusso?
Questa è una domanda interessante. Anche qui serve una premessa. La clientela diventa sempre più internazionale poiché sia noi sia i nostri competitor gestiamo i rispettivi brand più regolarmente a livello mondiale. Di conseguenza c’è, per così dire, meno compartecipazione lungo i confini. Il focus resta su chi sono i rivenditori e i brand più innovativi. Volendo scendere più nello specifico, tra i mercati in cui mi sono imbattuto negli ultimi tre, quattro mesi e che ho trovato particolarmente interessanti, spicca la Corea dove i format di vendita tradizionali stanno facendo molta fatica, non solo nel settore della bellezza, ma in generale.
Penso che ciò sia dovuto alle giovani generazioni che comprano più secondo i loro desideri, online oppure no. Si aspettano di poter fare shopping dove vivono le proprie esperienze, dove socializzano e pertanto visitano molto meno i negozi tradizionali. Per SK-II abbiamo creato, per esempio, un temporary shop all’interno di un coffee shop, con tutto il background, la consulenza e la magia che gli sono proprie, combinando in qualche modo un’esperienza d’acquisto con una di lifestyle. È stato un successo fenomenale perché siamo riusciti a trovare un punto di incontro per i giovani. In questo modo possono fare le cose che piacciono a loro, ricevere una consulenza SK-II, prendersi un caffè, o viceversa. L’importante è portare il retail nei luoghi in cui vivono. Su questa falsariga, si trovano profumerie con un angolo bar o abbinate a un negozio di musica, e così via. Si tratta di integrare le categorie di prodotto con le esperienze sociali.
Qual è la sua percezione del made in Italy nei beni di lusso?
Direi che l’Italia riveste per noi evidentemente grande importanza, a partire dal fatto che la maggior parte del nostro portfolio è costituito da marchi italiani di grande successo: Dolce & Gabbana, Gucci, Laura Biagiotti... Quindi, in qualità di vicepresidente di un’azienda del lusso, non posso che confermare una speciale affinità e un altrettanto speciale legame con il vostro Paese. Che però assume una valenza di spicco anche dal punto di vista delle vendite. È uno dei mercati del lusso di maggiori dimensioni al mondo: avere successo qui è per noi estremamente strategico.
Viene da chiedersi, a questo punto, perché abbiamo sviluppato questo legame con i brand italiani e perché siamo così certi della loro capacità di successo. In altre parole, perchè stiamo investendo così massicciamente su queste griffe, tanto da farle crescere in altre categorie merceologiche. Credo che la risposta sia una sola: l’Italia è concepita come culla del lusso in tutto il mondo, possiede un’allure molto particolare, peculiarmente trasversale a tutti i nostri brand. Vanta un’eredità, un’autenticità, una creatività che esistono qui e in nessun altro luogo allo stesso modo. Penso che i consumatori nel mondo lo riconoscano, lo apprezzino e lo percepiscano nei diversi brand che abbiamo, attribuendo così al made in Italy un’identità inimitabile, unica nel suo genere.